– Lei è miope. Le mancano 8 diottrie…
– Allora solo altre due e divento cieco?

Nei tanti decenni di professione, questa paura mi è stata espressa tante volte, e ancora oggi è enorme la confusione tra acutezza visiva, astigmatismo, gradazione degli occhiali, ecc. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

L’acutezza visiva, che qualcuno chiama acuità visiva e qualcun’altro chiama visus, è una delle abilità principali, direi la più importante in assoluto, del nostro sistema visivo, formato da occhi, vie nervose e cervello. Per acutezza visiva s’intende la capacità di percepire ed identificare i dettagli di un oggetto. Tale abilità dipende dall’armonioso funzionamento di tutte le componenti del sistema visivo, principalmente dalla nitidezza dell’immagine che arriva sulla retina.

Come già detto è una capacità, non una misura fisica, per questo non può essere misurata. Capiamolo meglio con un esempio. Prendiamo un olimpionico di corsa, di lui possiamo misurare l’altezza, il peso, la lunghezza delle gambe, la circonferenza del torace, ecc. Queste misure, però, non mi dicono in quanto tempo percorrerà i cento metri. Solo dopo aver eseguito una prova su pista potrò dire quanti secondi e quanti decimi avrà impiegato ma nonostante tali rilevazioni non avrò comunque i dati per dire quanto tempo impiegherà il giorno successivo per la stessa prova

Se volessi identificare un buon corridore, dovrei mettere arbitrariamente un limite e dire, ad esempio, “Per essere buon corridore bisogna percorre i cento metri in tredici secondi” Perché tredici e non quattordici o dodici? Così, un dato vale l’altro, basta avere un punto di partenza.

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Come viene valutata l’acutezza visiva?

Nel valutare tale abilità visiva è stato utilizzato lo stesso metodo. Un medico olandese di nome Snellen, nel 1858, disse che un’acutezza visiva non menomata, ossia intera, si ha nel momento in cui si riesce a distinguere caratteri alti 7,5 millimetri alla distanza di 5 metri. Chi per leggere le stesse lettere deve avvicinarsi alla metà della distanza (2,5 metri), ha la metà della visione piena, chi lo può fare a 0,5 metri ha un decimo della visione piena, e così via.

Dal 1858 la tavola di Snellen è diventata lo standard della misurazione del visus. Definendo la buona visione in unità, potremo dire che: chi legge le lettere di 7,5 millimetri a cinque metri, vede 1, ossia 10/10, chi si deve avvicinare alla metà della distanza, vede 1/2, ossia 0,5, o ancora 5/10, chi le vede a 50 cm (un decimo della distanza di cinque metri) vede 0,1, ossia 1/10.Come detto si tratta di dati arbitrari ideati da Snellen, non legati a nessun parametro fisiologico.

Cerchiamo con una tabella di chiarire la questione. La prima riga indica a quale distanza si riesce a leggere le lettere di 7,5 mm. La seconda riga indica l’acuità visiva corrispondente.

Acutezza visiva

Il visus si può raggiungere ad occhio nudo, ed allora parleremo di visus naturale, o con gli occhiali, ed allora parleremo di visus corretto. Il visus può essere misurata un occhio per volta (visus monoculare) o nei due occhi insieme (visus binoculare).

Ovviamente la misurazione più importante, sia agli effetti pratici che a quelli legali, è il visus corretto, ossia quanto si vede con la giusta correzione. Un miope di tre diottrie (la più comune delle gradazioni) vede normalmente meno di un decimo senza gli occhiali, ma può vedere 12 o più decimi con la correzione!

E come si può valutare quanto vede chi con tutta la correzione vede meno di mezzo decimo (1/20)? In questo caso si utilizzano le dita di una mano (si registra il visus come “conta dita” a 50, 40, 30, 20, 10 cm). Se il paziente non riesce a contare nemmeno le dita, si tenta di capire se può percepire almeno il suo movimento, registrando “moto manu”. Se neanche il movimento è percepito, si chiede se si riesce a distinguere la luce dal buio, registrando “percezione luminosa”.

Chi anche con la correzione vede male si definisce ipovedente. La legge che classifica i parametri per la visione è la 138/2001. Essa fa le seguenti classificazioni:

  • ipovedenti lievi coloro che hanno un visus corretto non superiore a 3/10 nell’occhio migliore;
  • ipovedenti medio-gravi coloro che hanno un visus corretto non superiore a 2/10;
  • ipovedenti gravi coloro che hanno un visus corretto non superiore a 1/10;
  • ciechi parziali coloro che hanno un visus corretto non superiore a 1/20 (mezzo decimo) nell’occhio migliore;
  • ciechi totali coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista o che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano nell’occhio migliore.

Perdere la vista è una tragedia, ma per tutti gli ipovedenti ricordo che oggi la tecnologia è in grado di offrire ausili di varia natura, che consentono anche a chi vede poco o pochissimo, di condurre una vita operativa pressoché normale.

Un colloquio con optometrista preparato e specializzato in ipovisione può aiutare a scegliere gli ausili opportuni sulla base del difetto visivo avvertito molto più di quanto si immagini.

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Lisi Bartolomei