Occhiali con lenti spessissime che fanno apparire gli occhi grandi il doppio ne avete più visti? Beh che la medicina si è evoluta moltissimo si sa, per questo quasi tutti darebbero questa risposta. Non tutti sanno però quale correlazione esiste tra occhiali spessi e cataratta, in cosa consiste l’intervento di cataratta e quali sono le tecniche di operazione di ieri e di oggi.
Il sistema visivo è composto essenzialmente da un coperchio trasparente esterno detto cornea, dall’iride e dalla pupilla, che regolano la quantità di luce che colpisce la retina, e da una lente interna che noi chiamiamo “cristallino” e gli anglosassoni, con poca fantasia, chiamano semplicemente “lens”, lente.
Si sa che per vedere bene attraverso una lente questa deve essere trasparente. La nostra lente umana, il cristallino all’interno dell’occhio, in qualche caso (circa una persona su quattro) comincia con l’avanzare dell’età un processo degenerativo che lo fa diventare opaco, come se fosse fatto di legno. Una lente di legno non fa passare la luce, per tale motivo, quando i chirurghi ancora non sapevano come effettuare l’intervento di cataratta, la Cataratta era di gran lunga la prima causa della cecità.
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I primi interventi di cataratta
I primi interventi di cataratta consistevano nel togliere completamente il cristallino opaco. Le cose miglioravano ma non di molto, da una parte questa operazione permetteva alla luce di arrivare di nuovo sulla retina, ma senza il potere positivo del cristallino non era a fuoco. Il sistema ottico, privato di quella importantissima lente interna, diventa estremamente debole, e per mettere a fuoco gli oggetti occorreva usare un occhiale con forti lenti positive (almeno 5 o 6 volte più forti del più forte occhiale che si usa, in vecchiaia, per leggere). Ecco perché si doveva ricorrere agli occhiali “da cataratta” di 15 o più diottrie, pesantissimi ed antiestetici, ma indispensabili per tornare a vedere.
Fino alla metà degli anni 50 del secolo scorso, l’operazione di estrazione del cristallino opacizzato non era semplicissima: si procedeva con un taglio esterno lungo circa 3 centimetri, circa metà del bordo della cornea, si ripiegava su se stessa, un po’ come il coperchio di una lattina, poi, dopo aver rimosso parte dell’iride, con il bisturi si tagliavano i legamenti che legavano il cristallino opaco alla struttura interna, infine lo si estraeva con delle pinzette per poi richiudere l’occhio con numerosi punti di sutura. La lenta cicatrizzazione provocava tensioni sulla cornea e astigmatismi post operatori di quattro o cinque diottrie erano quanto mai comuni.
Proprio per la difficoltà dell’intervento, le lunghe degenze ed i risultati visivi non sempre soddisfacenti, all’operazione di cataratta si ricorreva solo quando l’opacità era quasi totale (si parlava di cataratta “matura”) e negli altri casi si scoraggiava l’uso.
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L’evoluzione dell’intervento di cataratta
Alla fine del settecento Giacomo Casanova pensò di sostituire il cristallino rimosso con uno artificiale di vetro. Gli insuccessi clinici, però, convinsero il nobile veneziano di abbandonare la chirurgia oculistica e a tornare alle sue avventure amorose e per un paio di secoli non se ne parlò più, fino alle osservazioni del dott. Ridley. Durante la seconda guerra mondiale il dott Ridley, un oculista inglese, notò che le schegge di plexiglass dei finestrini degli aerei da caccia, che esplodendo erano penetrate nell’occhio di un aviatore, nel tempo, non provocavano altri danni oltre a quelli, normali dell’impatto. In poche parole il plexiglass, o per meglio dire, il poli-metil-meta-acrilato era biocompatibile!
Il cristallino artificiale ripristinava il corretto potere diottrico dell’occhio, e rendeva inutili gli ingombranti ed inefficienti occhiali che ingrandivano gli occhi. Inoltre, se prima dell’intervento occorrevano occhiali per vedere, se ne poteva tenere conto nel calcolo del potere del cristallino artificiale, ed ecco che ipermetropi e miopi, dipendenti dagli occhiali per tutta la vita, dopo l’intervento, grazie al cristallino artificiale, tornavano a vedere da lontano ad occhio nudo: quasi un miracolo. Le operazioni chirurgiche erano però sempre piuttosto invasive e la relativa degenza lunga, ma fortunatamente la tecnologia non si arresta mai.
L’intervento di cataratta oggi
Oggi non si deve aspettare che il cristallino si opacizzi del tutto prima dell’estrazione, ma anzi si preferisce intervenire appena la visione è compromessa. Un ago ad ultrasuoni riduce il cristallino opaco in poltiglia gelatinosa che viene poi aspirata. Il taglio per inserire il nuovo cristallino, che si infila “in situ” arrotolato e si espande da solo all’interno dell’alloggiamento, è di meno di due millimetri. Normalmente non si richiedono punti di sutura e la degenza passa da un paio di settimane ad un paio d’ore, il rischio di operazione della cataratta, ovvero che l’operazione vada male, crolla a percentuali minime.
Oggi, quindi, l’intervento di cataratta è tra i più semplici e meno invasivi:
- si esegue in anestesia locale (bastano poche gocce di collirio anestetico);
- dura normalmente circa un quarto d’ora;
- non richiede degenza e, dopo un paio d’ore, si può tornare a casa;
- si torna a vedere bene immediatamente, salvo un paio di settimane di “assestamento” della vista;
- si può intervenire appena la visione sia compromessa, senza aspettare la quasi cecità;
- se prima dell’intervento si portavano occhiali o lenti a contatto per vedere, poi non saranno più necessari.
Operazione a cuor leggero, dunque? No, assolutamente. Le controindicazioni sono di carattere locale (infezioni oculari in atto o latenti) o sistemiche (alcuni farmaci possono ritardare la guarigione) ed inoltre dopo l’intervento la buona visione senza correzione, per quanto normale, non è certo garantita, e ci può quindi essere ancora necessità di un paio di occhiali per vedere perfettamente, ma quando la visione diventa difficoltosa a causa della cataratta, oggi c’è un unico e caloroso consiglio: operatevi appena possibile!